mercoledì 8 giugno 2011

COME CAMBIERANNO I RAPPORTI TRA POLIZIA GIUDIZIARIA E PUBBLICO MINISTERO NEL DISEGNO DI LEGGE COSTITUZIONALE NR. 4275 DI RIFORMA DELLA GIUSTIZIA.

ricevo e pubblico:

Negli ultimi mesi abbiamo assistito a durissimi scontri tra il potere politico e quello giudiziario, a volte sfociati in veri e propri attacchi rivolti da una parte della politica alla magistratura.
Dopo diversi annunci, infine, è arrivata la tanto attesa riforma epocale della giustizia. Essa è racchiusa nel disegno di legge costituzionale AC 4275, presentato il 07 aprile 2011 dal Presidente del Consiglio e dal Ministro della Giustizia.
La riforma ha lo scopo dichiarato di ammodernare le norme che regolano la giustizia. A tale fine, prevede la modifica di alcuni articoli della Costituzione ritenuti non più attuali, tra i quali quello che regola il rapporto di dipendenza della polizia giudiziaria dal pubblico ministero.
Il testo vigente dell’art. 109 della Cost. sancisce: “L’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria”.
Il nuovo testo riformulato, invece, prevede: “Il giudice e il pubblico ministero dispongono della polizia giudiziaria secondo le modalità stabilite dalla legge”.
Com’è evidente, la modifica non è priva di conseguenze. Se la dipendenza dell’autorità giudiziaria dal pubblico ministero sarà filtrata con modalità da stabilirsi con legge, necessariamente ne deriverà il rischio di condizionamenti dell’azione penale da parte dell’esecutivo.
Il pubblico ministero oggi è indipendente dal potere politico e "soggetto soltanto alla legge", mentre il poliziotto - in particolare, quello militarmente organizzato - è un fedele servitore dello Stato che risponde agli ordini di un ministro.
La riforma prelude uno scenario in cui le polizie militari raccoglieranno la notizia di reato, faranno i primi accertamenti e le prime valutazioni, poi informeranno la catena gerarchica che deciderà quando e come informare il pubblico ministero.
In tali circostanze, gli elementi di prova verrebbero esaminati all’interno delle caserme, dove verrebbe deciso l'inizio dell’azione penale ed i tempi di comunicazione alle Procure.
Ci si chiede: lo “status militis” di una polizia giudiziaria non più alle dipendenze funzionali del PM è compatibile con l’obbligatorietà dell’azione penale? Oppure la militarità della polizia giudiziaria potrebbe essere d’ostacolo all’azione?
Come noto, gli appartenenti alle forze di polizia militarmente organizzate sono inserite all’interno di una gerarchia il cui ultimo anello è il ministro a cui rispondono e da cui ricevono gli indirizzi operativi (non sono casuali motti del tipo “obbedir tacendo” oppure “nei secoli fedeli”).
Si consideri, inoltre, che la carriera ha un peso rilevante per i militari. Con ciò non si vuole sostenere che tutti i militari, se posti dinanzi all’eterno dilemma tra Dio e Mammona, deciderebbero di assumere posizioni prone per amore alla carriera; certamente molti, in caso di pressioni da parte dell’autorità politica, deciderebbero di rimanere con la schiena diritta.
E’ altrettanto vero, però, che questi ultimi potrebbero subire condizionamenti con diversi mezzi di persuasione: con i trasferimenti d’autorità, che possono avvenire per non meglio specificate “esigenze di servizio” e/o “di opportunità”; con le sanzioni disciplinari, svincolate dal principio di legalità e tassatività dell’illecito; con i giudizi annuali caratteristici, massima espressione di discrezionalità, che incidono pesantemente sulla carriera. In essi anche un non meglio definito comportamento polemico può essere motivo di rilievo e/o nota di demerito, a prescindere dalla natura della polemica. Da ultimo, non per importanza, si consideri che da qualche anno è in atto una “strategia neoisolazionista” che cerca di allontanare i militari dalla società civile attraverso la compressione dei pochi diritti che il Parlamento nel 1978 aveva loro riconosciuto.
Se ne riportano alcuni esempi eclatanti.
a. Lo scorso anno, con un atto emanato dal solo potere esecutivo, sono stati ridotti alcuni diritti che erano previsti da una legge ordinaria. Infatti, l’art. 9 della legge n. 382 del 1978 consentiva alla polizia giudiziaria militare di “manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione”. La norma è stata modificata dall’art. 1472 del D.Lgs 66/2010, a mente del quale la polizia giudiziaria militare può “manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare, di servizio O COLLEGATI AL SERVIZIO per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione”.
b. Sempre lo scorso anno, con l’interrogazione a risposta scritta n. 4/01824, si è chiesto al ministro competente di specificare i limiti alla libertà di espressione dei militari – l’autorità di governo ha riferito che “ai militari (compresi gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria appartenenti all’Arma dei Carabinieri ed al Corpo della G.di F.) può farsi carico d’un dovere di riservatezza ignoto al comune cittadino, ESSI DEBBONO ACCERTARSI DEL PENSIERO DEI SUPERIORI, CHIEDENDO L’AUTORIZZAZIONE AD ESPRIMERE IL PROPRIO”.
A fare da cornice ai punti precedenti, v’è la circostanza secondo la quale la polizia giudiziaria militare non ha un vero sindacato, ma una rappresentanza gerarchizzata, presieduta dal più alto in grado, che può trattare solamente determinati e ristretti argomenti.
Non si può escludere che, a seguito della riforma nelle occasioni meno gradite o imbarazzanti per il potere politico, l’obbligatorietà dell’azione penale possa venir sterilizzata dalla dipendenza gerarchica e funzionale della p.g. dall’esecutivo.
E’ certamente innegabile che anche oggi possono esserci delle pressioni sulla polizia giudiziaria, ma la sua dipendenza funzionale dal P.M., prevista dalla lungimirante Costituzione, rappresenta uno scudo che la pone al riparo dalle gerarchie e dai governi.
Nell’Assemblea Costituente il dibattito in merito alla dipendenza della polizia giudiziaria dal pubblico ministero fu ampio. Era ancora vivo il ricordo dell’esperienza del regime fascista e delle deportazioni di cui anche alcuni membri della stessa Assemblea avevano fatto esperienza in prima persona.
In quella sede emerse persino la proposta, ampiamente condivisa, di formare un corpo di polizia giudiziaria separato rispetto alle altre forze dell’ordine e posto direttamente alle dipendenze, sia funzionali sia gerarchiche, dell’autorità giudiziaria. Si giunse, probabilmente per motivi di contenimento della spesa, a una decisione di compromesso fondata su una dipendenza solo funzionale.
In ogni caso, il costituente mai si sarebbe sognato di porre un qualche filtro di natura politica al rapporto di dipendenza della p.g. dal P.M., ritenendo la dipendenza funzionale diretta una condizione imprescindibile.




Cleto Iafrate
COMITATO “ARTICOLO 52 – Militari tra la gente”

domenica 5 giugno 2011

Teulada svende, Marcegaglia compra

aricolo tratto da : www.manifestosardo.org
C’è proprio chi ha trovato l’America non lontano da casa sua. In Sardistàn, ad esempio. E’ il caso del Gruppo Marcegaglia certamente. Titolare, attraverso la Mita Resort s.r.l. (45% del capitale sociale in mano a Emma Marcegaglia, il resto di proprietà di Massimo Caputi, Andrea Donà delle Rose, Lorenzo Giannuzzi), del Forte Village di S. Margherita di Pula, definito da anni il migliore resort del mondo, ha acquisito da poco l’ex Arsenale di La Maddalena. Due conti su questa struttura. L’ex Arsenale di La Maddalena è diventato un hotel a 5 stelle (115 stanze, di cui 22 suites), un centro benessere con porto turistico (600 posti barca) grazie agli interventi programmati per la riunione G 8 poi spostata a L’Aquila. Una dei fulcri del noto sistema gelatinoso. Sono stati spesi 118.946.000,00 euro in proposito (48.400.000,00 euro per la ristrutturazione dell’Arsenale in albergo + 23.436.000,00 euro per la realizzazione di servizi connessi + 41.610.000,00 euro per l’adeguamento del bacino dell’Arsenale in porto turistico + 5.500.000,00 euro per il piano di caratterizzazione e la bonifica ambientale, dati Protezione civile) di soldi pubblici. 227 mila metri cubi di volumetrie turistiche su un’area di 115 mila metri quadri, un porto turistico in posizione privilegiata. La gestione è stata affidata – per 40 anni – alla Mita Resort s.r.l., verso il pagamento di 31 milioni di euro (cioè poco più di 64.583 euro mensili per i 480 mesi di contratto) allo Stato e un canone annuale di 60 mila euro in favore della Regione autonoma della Sardegna. Una miseria. L’affidamento è stato effettuato dalla struttura di missione gestita dal sottosegretario alla Protezione civile (e direttore del Dipartimento della Protezione civile) Guido Bertolaso e successivamente il complesso è stato trasferito alla Regione autonoma della Sardegna. La Regione autonoma della Sardegna dovrà pagare quale proprietario ben 400 mila euro all’anno di sola I.C.I. Insomma, un vero affare. Ma un altro affare, di proporzioni straordinarie, si profila all’orizzonte. Sulla costa di Teulada, da Capo Spartivento a Tuerredda, a Malfatano. Uno dei grandi tratti di costa (circa 35 km.) ancora in gran parte integri del Mediterraneo. Rocce, piccole calette (Tuerredda, Campionna, Piscinnì), ambienti dunali, stagni (Piscinnì, Tuerredda), porti naturali già utilizzati in antichità (come la Merkat fenicia nel rìas di Malfatano). Da parecchi anni incombe il tentativo speculativo su questo autentico paradiso costiero. Negli anni ’70 del secolo scorso furono i lombardi Monzino, attraverso la loro società S.I.T.A.S. s.p.a., a progettare su quasi 900 ettari di costa la nuova Costa Smeralda nel sud Sardegna. Si doveva chiamare Costa Dorada: alberghi, ville, campi da golf con centinaia di migliaia di metri cubi di volumetrie. Non se ne fece quasi nulla. Soltanto la durissima opposizione legale delle associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico e Amici della Terra condusse alle condanne in sede penale ed alla successiva demolizione delle opere abusive del tentativo speculativo nella splendida baia di Piscinnì, enclave amministrativa di Domus de Maria, portata avanti in un primo momento dal gruppo Monzino, successivamente da una società aderente alla Lega delle Cooperative. Alcuni anni fa la Società immobiliare venne rilevata dalla Forma Urbis s.p.a. di due architetti-imprenditori veneti, Gianpietro Gallina e Albano Salmaso, che fecero proclamare, con sovrano sprezzo del ridicolo, all’allora Sindaco di Teulada Tore Mocci l’arrivo sulle coste sulcitane di ben 2.500 posti di lavoro ed anche di più grazie ai 180 mila metri cubi di alberghi e ville di lusso che gli intraprendenti veneti affermavano di voler realizzare. In realtà non hanno realizzato un bel niente, così come a Capo Pecora, sulla costa di Arbus, dove hanno rilevato la storica azienda agricola sul mare dei Casana. A questi architetti-imprenditori evidentemente interessava farsi approvare i progetti immobiliari e rivendere a prezzi esorbitanti. Ed è quello che hanno fatto. Anche dividendo in cinque l’unico progetto immobiliare, con l’avvallo della Regione autonoma della Sardegna, ai fini delle valutazioni di impatto ambientale, in contrasto con la direttiva comunitaria in materia (la n. 85/337/CEE, integrata e modificata dalla n. 97/11/CE). Così ha visto la nascita il nuovo progetto comprendente il complesso ricettivo “eco-compatibile” Malfatano Resort s.p.a., una joint venture composta da Sansedoni s.p.a. (40 %, gruppo Fondazione Monte dei Paschi di Siena), famiglia Benetton attraverso la Ricerca Finanziaria s.p.a. (25 %), Gruppo Toffano (24 %), Silvano Toti s.p.a. (11 %). Qui il fortissimo interesse del Gruppo Marcegaglia. Infatti, il Gruppo dell’attuale Presidente nazionale della Confindustria Emma Marcegaglia gestirà – secondo i programmi – il resort di Malfatano (300 camere, 5 stelle) a partire dal 2011. Ma non solo. La partnership fra Sansedoni s.p.a. e Mita Resort s.r.l. vede accanto un affare strettamente immobiliare di non poco conto: a fine marzo 2010, dando corpo e conferma ai peggiori fantasmi mattonari, il Consiglio comunale di Teulada ha approvato – all’unanimità – una deliberazione concernente la rilocalizzazione di volumetrie, l’acquisizione di concessioni demaniali sulle ridotte spiagge e, soprattutto, la drastica decurtazione della quota alberghiera con la destinazione del 25% delle volumetrie a ville. L’intento, in pratica, è di “variare l’impianto urbanistico dell’attuale piano di lottizzazione per adeguarlo alle richieste del mercato turistico”, come riporta fedelmente La Nuova Sardegna, nell’edizione del 25 marzo 2010. L’iniziativa è propedeutica a un futuro accordo di programma Comune – Regione – Privato. Più ville e meno alberghiero. E le prospettive occupative dell’affare sono anticipate da quanto sta avvenendo a La Maddalena con avvisi al pubblico di richieste di personale a cinque stelle. Quanti teuladini? Boh, vedremo. Eppure è quanto persegue da tempo il Comune di Teulada, secondo cui ormai non vi sarebbe alcun ostacolo per spalmare i 140 mila metri cubi di volumetrie complessive sui 700 ettari di costa. I lavori sono stati avviati nei mesi scorsi, prevedendo in prospettiva (deliberazione Consiglio comunale Teulada n. 37 del 3 ottobre 2008) lo spostamento di 33.500 metri cubi e la descritta variazione di destinazione d’uso. Ancora una volta sono state le associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico e Amici della Terra a rivolgersi alle amministrazioni pubbliche competenti ed alla magistratura, auspicando un efficace intervento in tempi brevi. Non basta il lento assassinio ambientale della splendida spiaggia di Tuerredda, “assalita” da centinaia di bagnanti, da chioschi e da “generose” concessioni demaniali, non basta l’emblematica vicenda della lottizzazione abusiva di Baia delle Ginestre ad opera dei lombardi Antonioli, non basta il fallimento turistico dell’allucinante cubo di cemento dell’Hotel Rocce Rosse, poi trasformato in condominio. Il turismo mattonaro oggi ha le sembianze di Emma Marcegaglia e dei Benetton, mentre gli indigeni che da generazioni vivono e lavorano a Malfatano stanno per essere cacciati da casa loro (e dai loro 5 ettari nel bel mezzo della lottizzazione) perché disturbano. Come i Mapuche della Patagonia. Emblematico e da vedere il film-documentario Furriadroxius, di Michele Mossa e Michele Trentini, sugli ultimi abitanti della comunità agro-pastorale di Malfatano. Nell’indifferenza della Regione autonoma della Sardegna, delle amministrazioni locali, delle forze politiche e degli stessi teuladini. Nelle sedi della politica, solo l’on. Claudia Zuncheddu (RossoMori) ha presentato un’interpellanza in proposito (la n. 59/C-4 del 3 dicembre 2009) al Presidente della Regione autonoma della Sardegna, agli Assessori regionali della difesa dell’ambiente e degli Enti locali, finanze, urbanistica. Gli altri a schiena dritta e in silenzio. Fuori dai piedi, oggi si costruiscono ville da 380 mq. di coperto in vendita e migliaia di mq. di giardino esclusivo a 1,5 milioni di euro l’una, così racconta sorridendo chi sta sui mezzi cingolati. Sarebbero proprio da rivedere i luoghi comuni che vedono i sardi quale popolo orgoglioso, tenace, portato all’indipendenza ed all’autogoverno. A parte le tante invasioni più o meno cruente che la Sardegna ha visto nel corso dei secoli (dai cartaginesi ai romani, dai vandali ai bizantini, dagli arabi ai saraceni, dai pisani ai genovesi, dagli aragonesi ai piemontesi, agli alleati anglo-americani), conserviamo tuttora – nelle tante varianti – sa limba, la più fedele discendente del latino (lingua degli invasori) e tutt’oggi, nonostante roboanti dichiarazioni, sos istranzos che approdano sulle nostre coste ricevono un’accoglienza straordinariamente benevola. E’ il caso di tanti speculatori immobiliari nel corso degli ultimi decenni. Rapinatori di territorio che spesso hanno lasciato soltanto briciole o macerie agli indigeni. Chiedetelo, giusto per fare un esempio, ai tanti piccoli imprenditori rimasti sul lastrico grazie al bresciano Bertelli impegnato a cementificare Stintino. Tuttavia la solfa non è cambiata. Le lezioni non sono servite. Nemmeno il momento potenzialmente favorevole della presenza dell’Amministrazione regionale Soru ha consentito di acquisire l’area, con i mezzi previsti dalla legge, alla disponibilità della recente Agenzia della Conservatoria delle coste della Sardegna. Si poteva salvare dalla solita valorizzazione mattonara uno dei tratti più belli ed integri di costa del Mediterraneo, ma non se n’è voluto fare nulla.

*Gruppo d’Intervento Giuridico

In precedenza su Il Manifesto Sardo, n. 63, 1 dicembre 2009

dal sito web della Società Sansedoni s.p.a. (http://www.sansedonispa.it/) Capo Malfatano si trova sulla costa sud-occidentale della Sardegna, nel comune di Teulada e nella provincia di Cagliari, da cui dista 40 km. La proprietà si estende per circa 670 ettari su una zona di grande fascino paesaggistico e di rinomata bellezza, e comprende la celebre spiaggia di Tuarredda, tra la penisola di Capo Malfatano e Capo Spartivento. Proprietaria del terreno e promotrice del progetto è la società S.I.T.A.S. SrL, partecipata da Sansedoni, Gruppo Toti, Ricerca Finanziaria (Benetton) e Gruppo Toffano di Padova. Il progetto mira alla valorizzazione del territorio e delle risorse locali, uniche per bellezza e fascino, attraverso la realizzazione di un sistema integrato di strutture ricettive e residenziali di elevato standard qualitativo, nel massimo rispetto del territorio. Obiettivo degli azionisti, viste le caratteristiche di massima qualità ambientale e paesaggistica della proprietà, è quello di realizzare un polo di assoluta eccellenza nell’offerta turistico ricettiva, adottando modelli già testati con successo nei mercati internazionali e con un’attenzione particolare alle caratteristiche naturali autoctone e alla sostenibilità del progetto stesso. L’intervento, prevede la realizzazione di hotel, di un centro conferenze e di residenze di lusso, per un totale di circa 140.000 metri cubi.

Storia della SOCREM Genovese

Storia della SOCREM Genovese
La Società Genovese di Cremazione - SO.CREM - fondata mercoledì 14 aprile 1897, fu eretta in Ente Morale con R.D. del 13 aprile 1902.
La prima cremazione avvenne il 4 settembre 1902. L'avvenimento ebbe un notevole rilievo storico e culturale, in quanto - in tale data - fu cremata la salma del Socio benefattore Cav. Luigi Maria D'Albertis.
Il Rito della Cremazione, peraltro già noto alle civiltà del passato, é riemerso nella seconda metà dell'Ottocento non per iniziativa pubblica, bensì ad opera del volontariato e per la costanza di poche persone.
In concreto, potremmo dire che in questi ultimi ventisei anni della Presidenza di Edoardo Vitale, hanno determinato delle tappe molto significative gradualmente raggiunte a beneficio della nostra Società.
Numerose ed importanti sono le novità della SO.CREM di Genova.
Anzitutto l'incremento dei Soci: da 4.620 al 31 dicembre 1980, sono diventati 17.181 al 31 dicembre 2010.
Conseguentemente, anche le cremazioni sono aumentate.
Nel corso del 1980 l'Ente ha eseguito 253 cremazioni, mentre nel 2010 sono state eseguite 5.568 cremazioni.
In tempo utile, la Società si é munita di adeguati impianti di cremazione, senza tuttavia trascurare l'organizzazione.
La SO.CREM di Genova, infatti, é stata la prima in Italia ad acquistare i computer per poter registrare le poche - allora - migliaia di Soci in un archivio informatico.
Tale archivio, ha pure consentito di trascrivere tutte le cremazioni eseguite in cent'anni di storia, al fine di poter agevolmente riferire ai Visitatori del Tempio l'esatta ubicazione del loculo ove riposano le Ceneri dei Defunti.
La Società si é inoltre munita di adeguati impianti di cremazione. Inizialmente, é stato acquistato un moderno forno di fabbricazione Inglese da affiancare ai due gloriosi forni "Gorini". Successivamente, sono stati sostituiti con altri forni "Shelton" perché - in quegli anni - la scelta cremazionistica stava aumentando in maniera rilevante ed era necessario avere la disponibilità di un impianto moderno ed allo stesso tempo funzionale.
Sono terminati i lavori di ristrutturazione ed ampliamento dell'intera Ara Crematoria.
L'Ente pertanto é dotato di quattro moderni forni realizzati dalla Ditta GEM di Udine, in sostituzione dei tre forni Shelton.
Il 1986 ha registrato un importante salto di qualità.
Con l'acquisto di un appartamento, situato nel centro cittadino, in comoda e strategica zona munita di idonei mezzi di collegamento, la sede sociale é stata trasferita in via Lanfranconi al civico n° 1, interno 4.
Successivamente, l'Ente ha acquistato, sempre nello stesso stabile, altri appartamenti sia per le aumentate esigenze operative che per l'archiviazione dei documenti societari.
All'interno n° 7, é stata acquistata un'unità immobiliare che é stata attrezzata ad "Auditorium" ove vengono svolti interessanti Convegni.

mercoledì 1 giugno 2011

carceri italiane

L'Unione delle Camere Penali Italiane aderisce allo sciopero della fame intrapreso da Marco Pannella da oltre un mese, per denunciare "le incivili condizioni delle carceri". La decisione è stata presa dalla
Giunta Ucpi, che fa così propria l'iniziativa del leader radicale.
Lo sciopero della fame sara' iniziato domani, primo giugno, dal presidente Valerio Spigarelli, e, a staffetta, coinvolgerà ogni giorno tutti i componenti di Giunta.
Secondo i penalisti, che denunciano da tempo la "drammatica situazione delle carceri italiane", il sovraffollamento "cresce senza che ancora alcun serio provvedimento venga avviato per fronteggiare quella che non è più una emergenza ma una cronica condizione". E "come conseguenza del sovraffollamento", si fa
notare, "cresce anche il numero dei suicidi, segnale drammatico delle condizioni di disagio fisico e psichico in cui vivono i detenuti".
L'Unione ha più volte ribadito, anche negli ultimi anni, la necessità di "predisporre iniziative legislative idonee a tutelare i diritti dei detenuti nelle carceri italiane", contenendo appunto il sovraffollamento, ma il Governo e gran parte della politica "sono sordi a queste richieste". Con modalità analoghe a quelle della giunta il coordinatore Alessandro De Federicis e gli altri componenti dell'Osservatorio Carcere dell'Unione delle Camere Penali Italiane "hanno aderito all'iniziativa e intraprenderanno questa stessa forma di
protesta". (ANSA)